edilizia italianaL’edilizia italiana raccoglie i cocci e, ancora una volta, aspetta e spera in una ripartenza. Quella che dovrebbe fare del 2017 l’anno d’uscita dal tunnel grazie alle misure varate nella Legge di Stabilità: in particolare, le maggiori risorse stanziate per le opere pubbliche (+23,4 per cento rispetto al 2016). Lo stesso Osservatorio Congiunturale sull’industria delle costruzioni, presentato ieri dall’ANCE – Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha rivisto così al rialzo le previsioni di luglio (-1,2%), portandole a un +0,8% negli investimenti per le costruzioni.

Eccesso d’ottimismo? Forse no, considerato che il 2016 è stato una cocente delusione per il settore, tra quelli che hanno pagato più duramente la crisi cominciata nel 2008. Un’ecatombe, nei cantieri. Tre addetti su dieci sono stati lasciati a casa. Oltre 600mila disoccupati, dicono i numeri, e più di 52mila imprese nei guai. Perso un terzo del fatturato e altrettanto del valore aggiunto, crollato da 23,8 a 15,8 miliardi.
Le misure inserite nella scorsa Stabilità dal governo Renzi non hanno prodotto risultati: investimenti cresciuti di uno striminzito 0,3% in termini reali (era previsto l’1%); produzione al -0,2% nei primi dieci mesi; ancora un forte calo per l’occupazione (-4,9%). In calo anche la nuova edilizia residenziale (-3,4% di investimenti). Numeri positivi (+1,7%), solo per la riqualificazione del patrimonio abitativo.

Chiusi sono rimasti i rubinetti del credito: fino a settembre i flussi di finanziamento delle banche hanno registrato un -4,3% nel comparto abitativo e del -14,1% in quello non residenziale. Eppure il presidente ANCE, Gabriele Buia (nella foto) non vuole cadere nella «sterile polemica sulle colpe dei crediti incagliati. Nel settore immobiliare – spiega – spesso passano anni dal momento della richiesta del credito all’attuazione degli interventi. Magari nel frattempo è arrivata la crisi e un progetto va fuori mercato». La crisi del credito, dice Buia, è piuttosto dovuta alla finanza creativa, «che ha impattato poi sull’economia reale con il blocco del credito alle imprese. Tutti quei derivati ci sono ancora, e valgono 11 volte il Pil mondiale».

Fonte: il Giornale